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articolo di Anna Breda e Alice Ramanad - Compagnia Babajaga, Sesto Gruppo, Sezione di Milano

Occhio a dove mettete i piedi. Le aiuole sono piene di siringhe e rifiuti vari: girare con le infradito non è consigliabile, meglio scarpe chiuse. Ci troviamo in una enorme… non so neanche se definirla piazza: un enorme spiazzo di cemento, in teoria concepito come luogo di ritrovo in un posto dove i luoghi di ritrovo latitano, ma in pratica creato in modo da impedire qualsiasi forma di aggregazione. Non c'è un filo d'ombra né un filo d'erba, e dietro alla piazza si stagliano tre edifici, le famigerate vele di Scampia. Scampia è un quartiere periferico, completamente trascurato dalle giunte che si sono susseguite, concepito come “dormitorio” per i pendolari che ogni giorno si spostano per lavorare, e una decina di anni fa è stata teatro di una delle più terribili faide di camorra che ha lasciato oltre settanta morti: quale rigenerazione possibile, qui? Le risposte ci sono arrivate in questi dieci giorni di luglio, in cui grazie all'associazione (R)esistenza anticamorra abbiamo conosciuto un po' meglio questo luogo affascinante e le tante persone che si spendono per farlo rimanere tale.

Sfatiamo il primo pregiudizio: a Scampia gli abitanti non passano le giornate a spararsi dal terrazzo e/o a iniettarsi eroina. Negli anni Novanta qui c'era una delle più grandi piazze di spaccio di eroina d'Europa e il traffico era gestito interamente dalla camorra. (R)esistenza anticamorra ha preso in gestione una ex scuola, che in quegli anni era stata occupata dai camorristi e trasformata in un centro di spaccio attorno a cui gravitavano moltissimi tossicodipendenti: ora questo luogo si chiama Officina delle Culture “Gelsomina Verde” e ospita, oltre che a tante associazioni, una decina di richiedenti asilo. Presto accoglierà anche una pizzeria e una casa-famiglia, e la nostra compagnia ha dato una mano a ristrutturare i locali.

Sfatiamo il secondo pregiudizio: a Scampia gli abitanti non si dividono solo tra camorristi e persone oneste. Noi, ad esempio, abbiamo conosciuto Francesco Verde, che aveva scelto di essere un criminale, ma lontano dalla camorra: peccato che sua sorella Gelsomina, vittima innocente, sia stata uccisa dai camorristi durante la faida. Dopo questo evento ha iniziato con un lavoro regolare e onesto, che gli consente di riscrivere ogni giorno, per quanto gli spetta, la storia di Scampia. Questa è una delle testimonianze che abbiamo avuto modo di ascoltare nei nostri pomeriggi: la nostra giornata infatti prevedeva una mattina di lavoro e un pomeriggio dedito ad ascoltare le testimonianze.

Sfatiamo il terzo pregiudizio: a Scampia si lavora duro! Le mattine le abbiamo trascorse a dare una mano all'officina delle Culture oppure a lavorare nell'unico bene agricolo confiscato alla mafia della Campania, il fondo rustico “A. Lamberti” di Chiaiano, gestito sempre da (R)esistenza anticamorra, che ospita due richiedenti asilo come guardiani. E sì, ce n'è parecchio bisogno, perché Ciro, il fondatore dell'associazione, ha ricevuto parecchie minacce dal clan mafioso dei Simeoli (ex proprietari del fondo) e i campi sono stati incendiati varie volte. Un anno, alla vigilia della vendemmia, uomini del clan hanno addirittura rubato tutti i mezzi agricoli, ma l'associazione ha proclamato una vendemmia fatta a mano dagli abitanti del quartiere.

A Scampia le associazioni non si occupano solo dei beni confiscati, ma anche di aiutare i ragazzi a intraprendere un percorso onesto e fondato su valori forti. Abbiamo visitato la palestra di Gianni Maddaloni, un ex campione di judo che ha deciso di aprire questa attività nel suo quartiere, dove si prende cura dei ragazzi che allena con determinazione e un forte piglio paterno. Dopo aver visto le vele, la palestra ci ha restituito molta speranza: infatti quel pomeriggio ci eravamo spostati tutti insieme con Ciro da Chiaiano (dove dormivamo) a Scampia, dove abbiamo fatto un giro. Le vele sono state senza dubbio la parte della visita che più ci ha colpito. Si tratta di enormi caseggiati di edilizia popolare costruiti in massima parte di amianto. Nuove case popolari sono state edificate per permettere agli ultimi abitanti rimasti nelle vele, ormai solo i poverissimi, di trasferirsi: peccato che secondo una normativa del codice antimafia chi ha parenti collusi con la mafia non possa trasferirsi nelle nuove case popolari, e il loro destino, almeno per ora, sembra quello di guadagnarsi un mesotelioma polmonare, anche grazie allo Stato.

Un'esperienza del genere però non l’avremmo vissuta allo stesso modo senza il foulard al collo: il percorso sulla legalità fatto negli anni dello scautismo ci ha permesso di arrivare a Scampia portando il necessario per uno scambio con quel territorio: abbiamo lasciato lì un po' del nostro senso di giustizia, cercando di conformare ad esso le nostre azioni, ma siamo anche tornati con una consapevolezza maggiore di cosa sia giusto e legale, una consapevolezza su cui abbiamo riflettuto e che abbiamo costruito lì giorno per giorno, fermandoci ogni sera in cerchio attorno ad una lamping e ricordandoci col metodo scout quale sia il dovere che abbiamo promesso di fare sul nostro onore.